Rabbia

La rabbia è un’emozione di base universale e un’esperienza umana comunemente condivisa, indipendentemente dalletà, dalla cultura o dalletnia. La funzione adattiva della rabbia risiede nellistinto di proteggersi per sopravvivere nel proprio ambiente e di reagire alle ingiustizie, ai torti subiti o percepiti e alla percezione che i propri diritti sono stati violati.

La rabbia è l’emozione, nella sua definizione lessicale che domina il comportamento umano nella nostra società contemporanea provocando quella che invece definiamo aggressione

La rabbia è uno stato emotivo, come descritto sopra, mentre laggressione si riferisce all’azione compiuta. Laggressività è coerente con l‘aggressione fisica e verbale, mentre la rabbia è coerente con un forte senso di disagio, che rappresenta un’espressione soggettiva di aggressività. La rabbia può causare comportamenti aggressivi (ad esempio, urlare, lanciare oggetti) e aumenta in modo affidabile la probabilità di mettere in atto tali comportamenti (Anderson & Bushman, 2002). Tali comportamenti possono portare a conseguenze negative come liti violente, danni alla proprietà e aggressioni fisiche. Pertanto, le persone con alti livelli di rabbia hanno maggiori probabilità di subire conseguenze negative (Deffenbacher, Oetting, Lynch, & Morris, 1996). La violenza è lesempio più drammatico delle conseguenze negative della rabbia e la forma più distruttiva di gestione (Korn & Mùcke, 2001). Tuttavia, i sentimenti di rabbia non sempre sfociano in comportamenti violenti e aggressivi, così come la violenza e l‘aggressività possono verificarsi senza rabbia (ad esempio, nel caso del furto, un attacco puramente strumentale). Infatti, alcuni comportamenti aggressivi sono privi di rabbia, mentre altri sono pieni di rabbia che non può essere definita aggressiva. Le persone guidate dalla rabbia sono sempre emotive, mentre le persone aggressive possono essere poco emotive e apatiche (Fein, 1993).

Allinterno della categoria emotiva della rabbia, esistono vari stati emotivi ad alta intensità emotiva e attivazione, come la rabbia, la collera e il risentimento, nonché stati emotivi a bassa intensità, come il risentimento, la frustrazione e limpazienza. In tutti i casi, questi stati emotivi sono intensi ma transitori. Tuttavia, possono rimanere e persistere nella persona attraverso vari meccanismi di mantenimento, come le ruminazioni di rabbia.

Allo stesso modo, a livello linguistico, nel vocabolario emotivo della categoria emotiva della rabbia, gli individui usano parole specifiche per descrivere questo stato emotivo, come risentito, irritabile, arrabbiato, furioso, furioso, irritabile, lunatico, ostile, furioso e arrabbiato.

La rabbia è uno stato emotivo intenso che si attiva nellindividuo in risposta a stimoli interni ed esterni e alle loro interpretazioni cognitive. È un processo che segue fasi specifiche (insorgenza, persistenza e attenuazione) ed è spesso accompagnato da cambiamenti fisiologici e comportamentali che hanno la funzione di adattare l’individuo allambiente.

Le sue componenti comprendono lattivazione fisiologica dellorganismo, le componenti cognitive (interpretazioni cognitive, pensieri, credenzee immagini), le componenti fenomenologiche (percezioni soggettive, etichettatura lessicale) e le componentie spressive e comportamentali (linguaggio del corpo, espressioni facciali e tendenze comportamentali). Queste dimensioni interagiscono tra loro e influenzano lesperienza individuale della rabbia.

La rabbia è una reazione emotiva che genera un comportamento, il più delle volte di tipo violento

Come si manifesta nella persona la rabbia?

 La rabbia è principalmente una sensazione corporea, la definiamo emozione,  ma la parola ci porta a pensare a qualcosa di astratto che effettivamente prova il corpo. non riusciamo ad osservarla e quindi definirla completamente, quando siamo presi da questa emozione il corpo ci spinge ad agire di più in fretta possibile in due direzioni opposte una di Iperarosal o iperattivazione e l’altra di ipoarousal (Van Der Kolk 2021)  La prima è una reazione di attacco, la seconda di difesa di fuga.  In pratica o alziamo il tono della voce e cerchiamo di cambiare il nostro stato quello che in realtà pensiamo sia la situazione agendo anche in maniera violenta oppure scappiamo, ci nascondiamo oppure ci viene sonno tendiamo a dormire o addirittura ci congeliamo. Mentre accade tutto questo il cervello non smette completamente di pensare ma attiva delle reti neurali che noi percepiamo come pensieri, nella maggior parte dei casi di contenuto svalutante riguardano la nostra incapacità o la concezione di  giusto o sbagliato. Sono tutti pensieri che attribuiscono il verificarsi degli eventi a responsabilità relativa a causa esterne  “è quello che non sa guidare” ” mi ha tagliato la strada” ” è lui che mi ha attaccato” ” Lo senti che dice?”

Ggli eventi indubbiamente accadono, ma la responsabilità  di quello che noi percepiamo dipende da noi.  Se coltiviamo e ci addestriamo ad imparare ad osservare le nostre reazioni, con un addestramento di tipo mindfulness (Fisher 2022)  usciamo dall’attivazione automatica della rete e ci ritroviamo a scoprire nuove risorse che ci permettono di reinterpretare quella sensazione di sofferenza come una semplice perturbazione energetica interiore.
L’uomo fin dai tempi antichi attraverso il racconto di storie, favole, diventate nel tempo miti e poi persino racconti di tipo religioso ha indagato e soprattutto suggerito comportamenti per andare oltre questi comportamenti. Interpretati come comportamenti limitanti hanno contrubuito ad alimentare l’idea teleologica di un fine evolutivo all’esistenza dell’essere umano. Apprendere le tecniche specifiche di gestione dell’iperarusal o ipoarusal, pone l’uomo nella condizione  esistenziale superiore di superamento della parte animale per giungere a quella divina. Proprio questo intendeva il Buddha quando diceva di controllare le pulsioni del corpo o Gesù di Nazareth quando diceva di porgere l’altra guancia e che il regno dei cieli è di coloro che sono miti. Oggi potremmo dire consiste nel  coltivare la capacità di osservare le proprie reazioni osservandole, in questo modo la corteccia prefrontale non si spegne e l’attivazione automatica della rete si scioglie, non avviene più in un attimo ma addestrandosi in maniera disciplinata si riesce a sviluppare la parte duale del cervello, di fatto potenziandolo.
La rabbia come doppio legame

Bateson ha studiato in particolare il ruolo della rabbia nel contesto del doppio legame. Il doppio legame è una situazione comunicativa in cui una persona riceve due messaggi contraddittori, entrambi con lo stesso livello di importanza. Questo può portare a una confusione e a una frustrazione che possono sfociare in rabbia.

Ecco alcuni esempi di doppio legame:

  • Un genitore che dice al figlio “Voglio che tu sia te stesso, ma devi essere come voglio io”.
  • Un insegnante che dice allo studente “Sei intelligente, ma non sei abbastanza bravo per questo compito”.
  • Un partner che dice al coniuge “Ti amo, ma non so se posso fidarmi di te”.

In questi esempi, la persona che riceve il messaggio è in una situazione in cui non può vincere. Qualunque cosa faccia, sarà in errore. Questo può portare a una confusione, a una frustrazione e a un senso di impotenza.

La rabbia nelle culture diverse

La rabbia, nelle diverse culture ha sempre un valore sia positivo che negativo

  • Nella cultura mongola, la rabbia è vista come una forza potente che può essere positiva o negativa. D’altra parte, la rabbia è talvolta vista come un’energia positiva per combattere per ciò che è giusto. Ad esempio, la storia di Temujin, il fondatore dell’Impero mongolo, racconta di un uomo che usò il potere della rabbia per vendicarsi dei suoi nemici e unire il popolo mongolo.
  • Daltraparte, la rabbia è talvolta vista come una forza negativa che portaalla violenza e alla distruzione. Per esempio, la storia di Gengis Khan, nipote di Temujin, descriveun uomo che ha usato la sua rabbia per conquistare gran parte dell’Eurasia, causando morte e distruzione.
  • Nella cultura tibetana, la rabbia è considerata un’emozione da controllare. I tibetani credono che la rabbia sia una manifestazione dell’ego e che porti alla sofferenza. Per questo motivo, i tibetani praticano varie tecniche di meditazione e mindfulness per imparare a controllare la rabbia.
  • Nella cultura indiana americana, la rabbia è considerata un’emozione naturale che può essere positiva o negativa. D’altra parte, la rabbia è talvolta vista come una forza positiva che può essere utilizzata per l’autodifesa o per proteggere gli altri. Ad esempio, la storia di Tecumseh, un capo tribù dei nativi americani, racconta di un uomo che usò la sua rabbia per resistere all‘invasione dei coloni europei.
  • Daltra parte, la rabbia è talvolta vista come una forza negativa che può portare alla violenza e alla distruzione. Per esempio, la storia di Cavallo Pazzo, un altro capo tribù dei nativi americani, racconta di un uomo che usò la sua rabbia per combattere contro i coloni europei, ma alla fine fu ucciso in battaglia.
  • Nella cultura Inuit, la rabbia è considerata un’emozione da controllare. Gli Inuit credono che la rabbia porti a decisioni impulsive, che possono avere conseguenze negative. Per questo motivo, gli Inuit praticano diverse tecniche di risoluzione dei conflitti per imparare a gestire la rabbia in modo costruttivo.
  • Nella cultura lappone, la rabbia è riconosciuta come un’emozione che deve essere controllata. I lapponi credono che la rabbia porti sfortuna e malattie. Per questo motivo, i lapponi praticano varie tecniche di meditazione e mindfulness per imparare a controllare la rabbia.
  • Nella cultura indonesiana, la rabbia è considerata un’emozione naturale che può essere positiva o negativa. D’altra parte, la rabbia è talvolta vista come una forza positiva che può essere utilizzata per l’autodifesa o per proteggere gli altri. Ad esempio, la storia del generale indonesiano Gajah Mada racconta di un uomo che usò la sua rabbia per combattere contro i colonizzatori portoghesi.
  • Daltra parte, la rabbia è talvolta vista come una forza negativa che può portare alla violenza e alla distruzione. Ad esempio, la storia di Pangeran Diponegoro, un altro generale indonesiano, racconta di un uomo che usò la sua rabbia come arma per combattere i coloni olandesi, ma alla fine fu sconfitto ed esiliato.
  • Nella cultura celtica, la rabbia è vista come un’emozione naturale che può essere positiva o negativa. D’altra parte, la rabbia è talvolta vista come una forza positiva che può essere utilizzata per l’autodifesa o per proteggere gli altri. Ad esempio, la storia dell’eroe celtico Cù Chulainn racconta di un uomo che usò la sua rabbia per combattere i suoi nemici.
  • Daltra parte, la rabbia è talvolta vista come una forza negativa che può portare alla violenza e alla distruzione. Per esempio, la storia della regina celtica Medb racconta di una donna che usò la sua rabbia per conquistare il regno di Connacht.
  • In conclusione, la rabbia è un’emozione che viene valutata in modi diversi nelle varie culture. In alcune culture la rabbia è vista come una forza positiva che dovrebbe essere usata a fin di bene. In altre culture, la rabbia è vista come una forza negativa da controllare.

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