Il desiderio: Sentimento intenso che spinge a cercare il possesso, il conseguimento o l’attuazione di quanto possa appagare un proprio bisogno fisico o spirituale (dalla Enciclopedia Treccani),

Quello che realmente proviamo è la percezione della mancanza di qualcosa, una sensazione di vuoto da riempire, di fame d’assecondare

La percezione della mancanza equivale a sentire qualcosa nel corpo, una sensazione o percezione, che spesso interpretiamo come dolore o comunque una destabilizzazione da uno stato di equilibrio/benessere può manifestarsi con una sensazione di vuoto o di un crampo o altro

 Questa interpretazione del sentire come dolore provoca, secondo gli utlimi studi di neuroscienze, lo scaturire nella mente di pensieri con i quali ci identifichiamo.

 Il processo è pressocchè istantaneo, ben prima della nostra possibile narrazione mentale.

 Il filosofo Merleau-Ponty lo aveva teorizzato da un punto di vista gneseologico già nel 1945 nella sua “Fenomenologia della Percezione”

 Provate a riflettere: quando volete tanto un oggetto o desiderate tanto che avvenga un evento, in realtà volete provare la sensazione di possedere quell’oggetto o vivere quella situazione, desiderate disperatamente un’esperienza. Questa non è altro che un sentire del corpo.

 Non poterla vivere genera la sensazione, si accende un campanello di allarme che attira l’attenzione della nostra mente, ci fa continuamente provare la stessa sensazione di mancanza e quindi di sofferenza. Si dice popolarmente “la lingua batte dove il dente duole”, questo cambia il nostro stato biochimico e psicofisico

 Mi domando allora quale differenza sussita tra ciò che ho appena descritto e l’assunzione di una qualsivoglia sostenza esterna che cambi il nostro stato psicofisico.

 Entrambe modificano i nostri stati biochimici.

 In realtà è come se fossimo drogati di possesso, potere e dipendiamo da tutte queste emozioni che proviamo.

Quando eravamo bambini, la prima volta che abbiamo provato le medesime sensazioni il nostro riferimento prossimo per decodificare ciò che stava accadendo erano le nostre figure di attaccamento, nella maggioranza dei casi abbiamo avuto solo esempi reattivi perchè i genitori o chi per loro si sono comportati secondo il proprio livello di schematizzazione della realtà che corrispondeva a ciò che a loro volta avevano appreso dai loro genitori e sovrastrutturato con l’esperienza. se questi non hanno mai nella vita compiuto un processo di conoscenza interiore o “de-traumatizzazione” hanno solo riproposto lo stesso schema, ecco perchè è fondamentale un processo di “educazione sentimentale”, permettere ai bambini fin dalla tenera età di comprendere le varie sfaccettature del sentire le proprie emozioni.

 Così, adesso ci ritroviamo con solo quella mappa interpretativa ed è a ciò che ci atteniamo.

 Anche questi appena descritti, possiamo definirli traumi, ne esistono innumerevoli, ognuno ha i propri, di intensità differente e con costruzioni narrative differenti.

 Abbiamo creato storie che ci raccontiamo e che usiamo per generare i nostri pensieri ed interpretare le nostre percezioni.

Con queste storie applichiamo il filtro alla realtà e definiamo il nostro universo di senso, di fatto è come se producessimo incantesimi e creassimo continuamente la nostra realtà mediante questa mappa, in verita semplice risultato dei nostri traumi.